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dettaglio Alchemy (1947) - presso il Peggy Guggenheim (VE)
"Ma che senso ha gocciolare del colore sulla tela? Anche i bambini ne sono capaci!”
Questa è una di quelle frasi che spesso mi sento dire, ma, cerchiamo prima di analizzare l'aspetto intrinseco di questo artista statunitense.
Jackson Pollock (1912-1956) è stato il maggiore esponente dell'action painting o comunemente chiamato espressionismo astratto. Siamo nel ‘47 del novecento, la seconda guerra mondiale è terminata, ma nell’aria c’è ancora una sensazione di delusione, molti europei, compresi gli artisti, sono costretti a trasferirsi in America facendo sì che la capitale dell’arte da Parigi si sposta nella grande mela, New York. In questo modo gli americani entrano in contatto con l'arte europea.
Da questo momento iniziano a criticare la società che li circonda, ma poiché delusi dal degrado post-bellico non riescono a comunicare il loro status se non esprimendosi attraverso il gesto, usandolo come mezzo di espressione. Dunque gli artisti realizzano le proprie opere con un'ottica diversa, un'ottica legata all'esperienza. C'è una grande volontà di scrollarsi di dosso i ricordi dei conflitti bellici, per ripartire con un nuovo modo di espressione, così Jackson Pollock insieme agli espressionisti astratti (corrente artistica tipica americana) si esprimono attraverso l'action painting, la pittura d'azione.
In una società pre-confezionata dove tutto è programmato con estrema precisione, gli artisti che si affiancano a questa tecnica voglio essere liberi da schemi, dando importanza alla pittura d'azione, appunto action painting, per fare ciò la prima cosa è eliminare i "tradizionali" strumenti del pittore, il cavalletto è il primo a mettersi da parte, in secondo luogo anche i pennelli da precisione, dando spazio a bastoni in legno o pennelli non convenzionali.
La tela in questo momento prende un andamento orizzontale, sarà completamente distesa lungo il pavimento, attraverso i movimenti (le azioni) dell'artista, il colore sulla tela prende una forma sempre diversa e soprattutto improvvisata, grazie a queste colature di vernice gettate sul supporto, questa azione prende il nome di dripping (proviene dal termine "drip" che significa gocciolare). Dunque questa espressione artistica non è altro che la traduzione dei movimenti dell'artista ma anche della sua interiorità.
Nel 1947 J. Pollock realizza Alchemy (vedi foto) è la prima opera realizzata con la tecnica del dripping, è possibile osservarla presso il Museo Guggenheim di Venezia, credo di aver visto lì per la prima volta un'opera di J. P. mentre la nota collezionista d'arte Peggy Guggenheim ha conosciuto l'artista nel 1943, successivamente ha finanziato una mostra d'arte dedicandola interamente a lui, così gli ha permesso di potersi dedicare al suo lavoro artistico e di interfacciarsi quindi con altre esperienze legate alle gallerie entrando nel giro del mercato dell’arte.
J. Pollock è un'artista rivoluzionario per il semplice fatto che è riuscito a distaccarsi dall'arte del passato per proiettarsi in un mondo completamente nuovo. A mio avviso da sempre gli artisti hanno cercato di "superare" in un modo o in un altro quello che è l'arte del momento per creare opere sempre innovative, che abbiamo qualcosa in più rispetto a quello che è il passato ma sono legati al contempo con la propria personalità, per farlo è sempre necessario - e da sempre - conoscere bene ciò è stato realizzato, e così ha fatto questo artista statunitense, si è ispirato all'arte dei nativi americani (gli indiani d'America) che realizzavano la pittura sulla sabbia per avvicinarsi alla spiritualità.
Contemporaneamente anche in Europa si è svegliato un sentimento di cambiamento rispetto ai canoni del passato, così negli stessi anni è presente l'Arte Informale - di cui parleremo in un altro articolo - l'elemento più importante anche in Europa è legato al gesto a discapito della forma estetica.
Grazie per l'attenzione!
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ARTOUR
Federica Leonardi
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